martedì 18 dicembre 2012

William H. Talbot e i calotipi

Niepce e Daguerre erano riusciti a ottenere immagini fotografiche in un esemplare unico. Il primo a ottenere un'immagine riproducibile in più copie fu l'inglese William Henry Fox Talbot: le sue immagini sono i primi negativi della storia.
Però, a differenza dei negativi che conosciamo oggi, i suoi erano ottenuti da fogli di carta sviluppati per contatto. Talbot condusse i primi studi sulla luce quando era ancora studente al Trinity College di Cambridge. Si laureò come matematico e nel 1831 entrò alla Royal Society (l'accademia nazionale inglese delle scienze). Negli anni successivi si dedicò allo studio della fotografia.
Il primo passo per l'invenzione del negativo fu rendere sensibile alla luce un comune foglio di carta da scrivere, immergendolo in una soluzione di sale e nitrato d’argento. Talbot ottenne immagini negative posando foglie sulla carta ed esponendole alla luce: nacque così la tecnica della sciadografia (shadowgraph). L'interesse per le foglie e il mondo della natura era legato al fatto che Talbot era impegnato anche come botanico.



In seguito migliorò e completò il processo attraverso la stampa per contatto: Talbot stendeva su un foglio sostanze fotosensibili, poi lo esponeva all'interno della camera obscura in modo tale da ottenere una fotografia, che in seguito cospargeva di paraffina. La paraffina rendeva trasparenti le parti bianche della fotografia, mentre quelle scure restavano inalterate. I negativi così ottenuti andavano poi sovrapposti ad altri fogli in modo da realizzare un numero infinito di copie. Queste immagini sono dette calotipi (in greco significa belle immagini). La loro risoluzione era più bassa rispetto ai dagherrotipi, ma l'introduzione del negativo segna l'inizio della fotografia moderna. 
Nel 1844 Talbot pubblicò la celebrazione delle proprie scoperte in un libro dal titolo “The Pencil of Nature”, il primo volume illustrato contenente 24 calotipi.


lunedì 17 dicembre 2012

Louis Daguerre e i dagherrotipi

Louis Daguerre, pittore vedutista, nacque a Corneille en Parisis, in Francia, nel 1787.
Apparteneva a una famiglia benestante: il padre era impiegato nella tenuta reale. Ben presto, Daguerre iniziò a lavorare agli allestimenti dell'Opéra de Paris, facendosi così una notevole esperienza nel campo del disegno e della scenografia. 
Era infatti un abile disegnatore di panorami e ottenne i maggiori successi per i suoi spettacoli legati all'uso di un diorama: una sorta di teatro in cui si potevano ammirare effetti di luce proiettati su tele dipinte.
La necessità di ottenere effetti ancora più realistici lo portò a interessarsi della camera oscura e degli studi di Joseph Niepce per ottenere immagini fotografiche.
Cercò quindi di mettersi in contatto con lui e, dopo le reticenze iniziali (Niepce era gelosissimo delle sue scoperte) i due avviarono una collaborazione, nel 1824.
Alcuni anni dopo Niepce però morì e Daguerre brevettò da solo l'invenzione ufficiale della fotografia, nel 1839. Invenzione che prese il suo nome: dagherrotipo. Ancora oggi, nonostante Niepce sia stato il primo a scattare immagini fotografiche, l'invenzione si attribuisce al solo Daguerre, per questo motivo.
Il procedimento brevettato da Daguerre consisteva nell'esporre ai vapori di iodio una lastrina di metallo coperta d'argento; questa lastrina veniva posizionata all'interno della camera oscura per circa mezz'ora. I tempi di esposizione erano quindi molto più corti di quelli impiegati inizialmente da Niepce (otto ore), l'immagine era inoltre più dettagliata. A Daguerre si deve la più antica foto in cui è visibile una persona, immortalata per puro caso, nel 1838.


Daguerre stava solo fotografando alcuni scorci di Parigi. Allora non era ancora possibile ritrarre le persone, per via dei lunghi tempi di esposizione, infatti la strada non era deserta come sembra: semplicemente, i passanti in movimento non rimanevano impressi sulla lastra del dagherriotipo, proprio perché si muovevano. L'unica figura a restare impressa in questo scorcio del Boulevard du Temple, è un uomo che si stava facendo lucidare le scarpe e per questo era rimasto fermo molto a lungo.
Daguerre si accorse di questa figura solo dopo avere sviluppato la lastra, con grande sorpresa.

Joseph Niepce e le eliografie

Usando il principio della camera obscura, il francese Joseph Nicephore Niepce fu il primo che riuscì a ottenere una vera immagine fotografica.
Niepce nacque nel 1765  a Chalon-sur-Saône da una famiglia agiata. Si avviò ad una brillante carriera di inventore in collaborazione con il fratello Claude. Nel 1816 iniziò a interessarsi  ai fenomeni della luce e della camera oscura, conducendo le prime sperimentazioni in Sardegna, durante un soggiorno in Italia.
Niepce si occupava però, principalmente, di litografia, con l'aiuto del figlio che realizzava immagini per lui. Ma il figlio presto fu chiamato alle armi e l'incapacità di Niepce di riprodurre quei disegni fu un vero problema: occorreva risolverlo e questo avvenne quando Niepce riuscì a ottenere immagini realizzate con l'azione diretta del sole: erano le prime fotografie.
Queste prime immagini si chiamavano Eliografie (“disegnato con il sole”). 
Venivano realizzate stendendo uno strato di una particolare sostanza fotosensibile (bitume di giudea) su una lastra di peltro che andava poi posizionata dentro la camera obscura ed esposta alla luce del sole per otto ore. La lastra andava poi tolta e immersa in un bagno di lavanda per rimuovere i frammenti che non erano stati colpiti dalla luce.

La foto più antica arrivata fino a noi (1826) rappresenta la veduta dalla finestra della casa di Grasse di Niepce. 


La seconda fotografia più antica giunta fino a noi realizzata da Niepce, rappresenta un tavolo con un frugale pasto.


La camera obscura

La camera obscura (da non confondere con la camera oscura usata come laboratorio di sviluppo fotografico) è un dispositivo ottico la cui invenzione è alla base di tutta la fotografia.


Una camera obscura è una stanza o una scatola, completamente oscurata e resa ermetica alla luce, su cui viene praticato un foro, chiamato foro stenopeico. Attraverso questo foro passano fasci di luce che, per una legge ottica, convergono sulla parete opposta in modo tale da mostrare l'immagine speculare di ciò che sta fuori. L'immagine appare rovesciata sia in senso orizzontale che in quello verticale.





Le origini della camera obscura sono antichissime; già nel XI secolo veniva utilizzata per osservare le eclissi solari.  Il suo utilizzo si diffuse specialmente tra i pittori vedutisti nel Seicento per riprodurre con la massima precisione i dettagli di una scena. 
 Leonardo da Vinci descrisse nel 1515, nel Codice Atlantico, un procedimento per disegnare edifici e paesaggi, che consisteva nel creare una camera obscura nella quale veniva praticato un foro su una parete, sul quale veniva posta una lente regolabile. Sulla parete opposta veniva così a proiettarsi un'immagine fedele e capovolta del paesaggio esterno, che poteva essere copiata su un foglio di carta ("velo") appositamente appeso, ottenendo un risultato di estrema precisione.

Al giorno d'oggi, le moderne macchine fotografiche non sono altro che camere obscure più complete, con un obiettivo al posto del foro stenopeico e un supporto fotosensibile (la pellicola) sul lato della parete in cui viene proiettata l'immagine.